Giotto, Vitale e la prima cooperativa

01/10/2020
Architetto Stefano Clericò

 

Non bisogna essere architetti per apprezzare le cose belle ma, forse per impostazione formativa, la mente dell’architetto va oltre le cose visibili ed è portata a fantasticare più di altre persone.

Ed è cosi che una domenica ci siamo trovati, io e la mia compagna (anch’essa architetto), a fare una visita guidata dell'Abbazia di Pomposa: una delle più belle testimonianze dell’architettura romanica dell'Emilia Romagna inserita in un contesto naturalistico unico al mondo.

Un segno forte nel paesaggio è il campanile massiccio ed imperioso che aveva la funzione sia di guidare otticamente il viaggiatore verso la meta, sia di torre campanaria e probabilmente di avvistamento.

Abbiamo trovato ad attenderci una simpatica guida che, dopo averci illustrato come avrebbe condotto la visita ai fini del rispetto delle norme anti Covid-19, ci ha raccontato la storia del mattone in terra cotta, di come sia stato modificato nelle sue dimensioni attraverso i secoli e di come sia stato utile aver ritrovato ii sigilli delle fabbriche imperiali nella datazione delle diverse parti edificate.

 Ma la parte più interessante, inaspettatamente, è stata sicuramente la visita agli ambienti interni del refettorio e soprattutto della chiesa. Qui possiamo notare che gli intonaci sono completamente affrescati con scene del vecchio e del nuovo testamento, con rappresentazioni dell'Apocalisse di Giovanni ed altre iconografie della tradizione cattolica.

Lo stile è chiaramente quello giottesco ma con influenze bizantine e la guida comincia a raccontare che l’artefice della visione complessiva era stato Vitale da Bologna (in alto a sinistra il suo San Giorgio e il drago, 1330-1335, tempera su tavola conservata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna), il quale aveva anche direttamente eseguito alcune pitture ma che nel complesso si era servito di altri artisti suoi pari formati nella cosiddetta “Scuola di Bologna”. Grazie a questo espediente, la chiesa era stata completamente affrescata in un tempo relativamente breve rispetto ad esempio alla Cappella degli Scrovegni (in basso a destra il dettaglio del committente Enrico degli Scrovegni in atto di offrire un modello della Cappella alla Madonna, 1300-1305) che Giotto poco prima aveva completato a Padova con l’aiuto sì di collaboratori, i quali però non potevano che stendere l’intonaco e limitarsi a campire gli spazi tracciati dal maestro con il colore.

 

Non so se la ricostruzione storica sia completamente veritiera, ma la mia immaginazione mi ha fatto pensare a Vitale che nel Trecento a Bologna istruiva allievi per intervenire in forma congiunta e coordinata. Forse lì è nata la prima impresa artistica cooperativa con l’intento di realizzare una grande opera nel minor tempo possibile, responsabilizzando i soci della scuola ed elevandoli a corresponsabili del successo del progetto. Mi dispiace solo di non essere però riuscito a visualizzare con cosa abbiano brindato alla fine della loro grande missione.

 

Stefano Clericò, Coordinatore Tecnico ReQuBo

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